Dopo gli sforzi e gli investimenti pubblicitari spesi per riabilitare l’olio di palma, l’industria è al capolinea. Non esiste l’olio di palma “sostenibile”

Il gruppo  dei produttori asiatici della materia prima e delle multinazionali alimentari che lo impiegano ha pure creato un marchio per l’olio di palma “sostenibile”, di dubbio significato, secondo la ong Supply-Change. Poi ha contrastato l’allarme contro il palma concausa di obesità, sostenendo che la dose fa il veleno, basta mangiare con equilibrio.

Ora ha finito gli argomenti.

Dopo il parere dell’Efsa ha giocato un ultimo tentativo di disinformazione: i contaminanti di processo sono anche in altri oli vegetali raffinati, ha provato a sostenere. Ma il dossier parla chiaro: nel palma ve ne sono da 6 a 10 volte di più.
Per lo scadente grasso tropicale è arrivato il momento della verità. Il primo giro è tutto uno scaricabarile. L’industria si rivolge al ministro della Salute. Il ministro Lorenzin passa la palla al commissario europeo. A Strasburgo i parlamentari cominciano a destarsi.

Le critiche al massiccio impiego di olio di palma negli alimenti industriali, del resto, non sono nuove.
Nell’opinione pubblica hanno registrato un coinvolgimento crescente, via via che i danni correlati hanno stretto il cerchio e si sono fatti più vicini.
All’inizio, circa 6 anni fa, si lottava contro le coltivazioni delle palme da olio nei paesi tropicali per il loro impatto distruttivo sull’ambiente e sulle comunità locali, che pagano per primi il prezzo del lucroso business, subendo soprusi ben documentati dalle ong contro il land grabbing (la rapina delle terre), soprattutto in Africa e Sud-est asiatico. Le dimensioni del fenomeno sembrano incontenibili: tra il 2008 e il 2014, nei paesi in via di sviluppo gli investitori stranieri hanno conquistato 56 milioni di ettari di terre, un’estensione pari alla Francia.

Alla fine del 2014, con l’entrata in vigore del regolamento europeo 1169/11 che impone trasparenza sulle etichette alimentari si è scoperto che l’olio di palma (fino ad allora nascosto in etichetta sotto l’enigmatica dicitura “grassi o oli vegetali”) è dappertutto. È aggiunto nei biscotti, nei cracker, nelle merendine. È usato in ristoranti, pizzerie, friggitorie e fast-food, pasticcerie. Sta nei dadi, nei piatti pronti, persino nelle bevande servite al bar, come il “caffè al ginseng”. Anche in molti prodotti biologici.

Una pervasività che ha acceso l’attenzione sul consumo eccessivo e sui rischi correlati (obesità, diabete e malattie cardiovascolari). L’olio di palma contiene infatti almeno il 50% di grassi saturi, la stessa quantità del burro, ma a differenza di quest’ultimo è insapore ed economico, quindi pressoché onnipresente. Secondo il parere espresso due mesi fa dall’Istituto superiore di sanità, in Italia ne assumiamo ben 12 grammi al giorno
 E i bambini superano del 49% la dose giornaliera di grassi saturi, proprio a causa del consumo elevato di prodotti contenenti olio di palma.

Ma le foreste pluviali sono lontane e i grassi saturi fanno poca paura. Sapere che un alimento tanto mangiato dai bambini contiene sostanze che provocano il cancro rimette ora al centro la battaglia contro il palma.

Fonte: Tutto green

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